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Via Siracusa, 3, 74121 Taranto TA
Originariamente una Tomba a Camera magnogreca, forse riutilizzata in epoca romana, la Cripta del Redentore è tra i siti archeologici di Taranto più interessanti e densi di significato.
Lo studio della struttura, più volte riutilizzata nel corso dei secoli ha garantito di tracciarne, se pur sommariamente, le varie fasi di interventi ed i cambi d’utilizzo.
L’antico vano ipogeo, quasi certamente destinato ad accogliere una sepoltura, al quale si accede attraverso un dromos (corridoio) composto da dodici gradini, fu riutilizzato dai religiosi come luogo di culto cristiano.
Secondo la tradizione tarantina un piccolo gruppo di monaci di rito bizantino riutilizzarono l’antico spazio lontano dall’abitato come luogo di preghiera modificandone la struttura con l’inserimento dell’abside, aprendo (forse già in questa fase) una apertura alla vicina grotta caratterizzata dal pozzo centrale e decorandone le pareti con alcuni affreschi.
Il ciclo pittorico palinsesto, datato al XII sec. (circa) risponde ai canoni estetici ed alle scelte simboliche tipiche del tempo con il “Cristo Pantocratore tra san Giovanni e la Vergine” nell’abside, e sulle pareti laterali cortei di Santi tra i quali è facile riconoscere “San Basilio” o “San Paolo” “Sant’Euplo” e “San Biagio” oppure “Santo Stefano”.
L’analisi dell’interessante apparato decorativo ha dimostrato al di sotto dello strato di affreschi attualmente visibili la presenza di una fase più antica che è possibile datare con ogni probabilità all’ XI sec.
Il complesso religioso ipogeo si completava della presenza di una chiesa sub divo dedicata a Santa Maria Murivetere, che abbandonata già a partire dal XIII sec. e trasformata in ricovero per gli animali, fu definitivamente chiusa dal Vescovo di Taranto Lelio Brancaccio nel 1578.
L’analisi della struttura e la presenza di molti segni graffiti lungo le pareti del dromos d’accesso restituiscono l’immagine di un luogo oggetto di “pellegrinaggio” e devozione. Le molte croci incise, le parole non più leggibili o identificabili ed i simboli di chiaro rimando cristiano testimoniano la pratica di fedeli e pellegrini di lascare un segno del loro passaggio al momento della pia visita al luogo di culto.
Pregevole, nella sua semplicità, sullo stipite sinistro della porta d’accesso, il graffito raffigurante un piccolo cervo. Di difficile interpretazione e datazione potrebbe essere un richiamo al versetto del libro dei Salmi: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio” (Salmo, 42) e forse testimonianza di una devozione legata alla presenza del pozzo.
Persa nell’oblio della storia, e marginale nelle vicende urbanistiche della città, la cripta fu riscoperta dall’archeologo tarantino Luigi Viola nel 1899 e ribattezzata dallo stesso con il Nome di “Cripta del Redentore”.
La Cripta del Redentore di Taranto è un luogo fortemente legato alla tradizione petrina della città. Secondo l’Historia Sancti Petri (X sec. d.C.), l’Apostolo, dopo una sosta nell’odierna Isola di San Pietro, volendosi dissetare, si sarebbe diretto verso il luogo sacro in cui si trovava un pozzo vicino al quale si ergeva, all’interno di un complesso monumentale, la statua di una divinità pagana (probabilmente Zeus o Apollo).
Sempre secondo il racconto, nel momento in cui il Santo si sarebbe fatto il segno della croce per dedicare il sito a Giovanni il Battista, la statua si sarebbe frantumata tra lo stupore dei presenti che convertiti al nuovo credo furono battezzati con l’acqua del pozzo di fronte al quale si era compiuto il prodigio.
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